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Critiche

In quanto scultore, pittore e poeta Cristiano Ranghetto ricorda negli atteggiamenti esteriori dell’arte la molteplice attività di Michelangelo, che ha lasciato un segno nel triplice dominio delle Muse, mentre dal punto di vista ideologico sembra ricordare l’osservazione di Tacito, il quale, riferendosi in particolare a Virgilio, rivendicava per gli artisti e gli storici il ruolo di coscienze critiche della loro epoca. Possiamo partire nella nostra analisi proprio da qui, dalla diuturna applicazione di Ranghetto ad esaminare il rapporto fra l’uomo e le cose in una sorta di religioso memento di quanto valga la terra, entità e simbolo della continuità della vita e materia prima preziosa ed essenziale per il modellato, per la scultura che, dedicata ad uomini ed animali fa da pendant alla pittura, nella quale prevale la presenza dell’uomo e dei concetti che la ragione gli permette di formulare. In tale rapporto esiste un’interessante disimmetria: mentre gli animali sono modellati in termini di piena figurazione, all’uomo è riservata una dimensione di carattere astratto-concettuale. Ci si deve chiedere il motivo di tale scelta che non è solo operativa ma ideologica. Non basta osservare che lo scalpello di Ranghetto si accanisca sui suoi animali con ferite profonde, simbolo e ricordo della violenza esercitata dall’uomo nei loro confronti. Si tratta piuttosto di una distinzione operata tra vittime e persecutori. Studiando attentamente la galleria delle tele, si giunge a comprendere come questi ultimi perseguitino gli animali non solo uccidendoli, ma, forse peggio, rinchiudendoli negli zoo e privandoli così della loro libertà o umiliandoli nei circhi con penosi esercizi.
Le sculture hanno nel tempo perduto l’applicazione di tinteggiature per rispondere al desiderio che l’artista ha man mano sviluppato di conservare il nobile colore della terra, materiale simbolo di un lavoro che si avvicini per quanto possibile alla primigenia virtù affrancandola dagli inutili orpelli di una modernità che ha rinunciato all’anima per esaltare inutili apparenze.
Alcune sculture aggiungono alla pura rappresentazione un contenuto di simpatia, termine impiegato nell’originario significato di affettuosa adesione, giungendo ad elaborare pezzi come la coppia di elefanti, madre e figlio, uniti per la proboscide, un’immagine che si può ben definire affettuosa. In molti pezzi si avverte una particolare attenzione al rapporto dei volumi, che presentano in qualche caso soluzioni esecutive alla Boccioni, come avviene in Il peso delle ali, mentre altrove la terra esalta la propria malleabilità offrendo contornature raffinate e minuziose, come è dato rilevare in Amore o in Coppia.
La folta produzione di quadri, tutti dipinti all’insegna di uno stile complesso nel quale si fondono, talora mirabilmente, elementi decorativi con fattori spirituali che dimostrano gli aspetti più riposti di un animo dalle varie sfaccettature e pertanto non sempre allineato su posizioni polemiche.
Lo stesso stile, che riporta a certe esperienze della Scuola di New York senza dimenticare il sapore decorativo che attraversa l’astrattismo da Vasilij Kandinskij a Paul Klee e a Joan Miró, si adatta alle diverse situazioni assumendo la misura di un’ampia visuale nella quale gli inserti segnici si stemperano nell’afflato dell’insieme (si veda La grande abbuffata è finita, fallita! o Il sole del deserto non riscalda più come prima) oppure assumono una posizione di primo piano come è dato rilevare ne Il Re e in Volto nel Nero.
Non mancano i casi in cui lo stesso tema si arricchisce di una doppia versione, scultorea e puramente figurativa. Si tratta dei momenti in cui nel pensiero di Ranghetto si placa la furia creativa per dar luogo alla necessità di sviluppare argomenti cui giova tanto la forma plastica che quella figurativa. Nasce allora una sinergia di forme destinata a conferire piena espressione, in un afflato combinatorio che, sia pur giocato su due diversi tavoli tecnici, finisce per fornire il naturale completamento a temi d’ordine oggettivo o personale quali lo sfruttamento della terra e l’amore, rappresentato con forza plastica nel modellato di Amore, due volte ripreso, una prima volta in termini lirici e una seconda con tratti di forte sensualità. In sede pittorica troviamo invece Nulla può contro l’amore, un quadro d’intensità metafisica dovuto all’impiego di una bicromia che utilizza due non-colori, il bianco e il nero, che qui drammatizzano la dialettica fra chi ama (il Bianco) e chi contrasta il nobile sentimento (il Nero). Vale la pena avvertire che nella fattispecie l’amore non è inteso in senso esclusivamente personale, ma può rivolgersi a qualsiasi cosa: la natura, gli animali o la terra, così preziosa.
Per concludere sarà opportuno dire che il quarantenne artista di Busto Arsizio trova un’ulteriore dimensione artistica, o meglio la fonte prima della sua applicazione figurativa, nelle poesie che gli servono da bozza per le successive esperienze; esperienze che lo collocano in una dimensione di notevole interesse per l’originalità e l’intensità emotiva del suo fare arte.
Aldo Maria PeroFebbraio 2018
È come pedinare con lo sguardo una nuvola appesa al cielo e vederla trasformarsi in un’essenza, in una morfologia, in un grumo di umano-non-umano. È come farsi attrarre dalla porzione di un pavimento e riconoscere nelle sue marmoree nervature un va e vieni di anatomie, profili, espressioni. Entrambe le suggestioni (ciascuno di noi, almeno una volta nella vita, le avrà pur sperimentate…) ci raccontano l’arte astratta di Cristiano Ranghetto: una sorprendente, imprevedibile, fantasmatica action painting che per potersi svelare al meglio avverte la necessità di assorbire tutto il surreale possibile, immaginabile, perfino inimmaginabile. Citando in libertà le campiture cromatiche di Paul Klee e i paesaggi interiori di Roberto Sebastian Matta, l’artista lombardo “immerge” le sue tele nell’inconscio e nel sogno facendo emergere (in particolare dal nero, dal bianco e dal rosso) chiazze di colore che di volta in volta, a seconda dell’umore con cui le scoviamo per poi metterci a osservarle, scoprono volti di donne, folletti ridanciani, mostri ghignanti, profili adunchi, creature da teatro dell’assurdo. E all’improvviso, risvegliando le nostre fantasie assopite, proveremo a immedesimarci in questi caricaturali freaks.
Stefano Bianchi
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